Chi penso di essere
A good man
E' sempre difficile parlare di se stessi e soprattutto parlarne in maniera obiettiva. Vi posso dire che proprio per questo preferirei parlarvi di come vorrei che gli altri mi vedessero. "You're a good man" detta proprio in Inglese per le maggiori accezioni cui si presta, è attualmente la frase che vorrei che gli altri pronunciassero riferendosi a me. E' un bravo ragazzo, è un brav'uomo, una buona persona, una persona gentile, una persona onesta, una persona per bene, attualmente, felicemente mi rappresenta. Ad essere sinceri nel passato, quando ancora non ne avevo capito appieno il valore, non era comunque un'affermazione che mi inorgogliva. Bravo ragazzo all'epoca era un po' fuorimoda e rappresentava uno stereotipo un po' "sfigato" che quando sei giovane difficilmente accetti che possa rappresentarti. Oddio, non è che brav'uomo nella nostra società attuale, volta all'esaltazione del modello narcisista e presenzialista dell'avere sull'essere, sia un'etichetta della quale andare fieri. E allora dove sta la differenza se niente è cambiato? La differenza consiste proprio nella scoperta del potenziale personale, per lo più già scritto dentro di noi, che, mediante lo sviluppo della consapevolezza del ruolo che vuoi interpretare in questa vita, ti permette di capire che se questo è sempre stato il dipinto ideale che gli altri hanno avuto nei tuoi confronti, un motivo fondante dovrà pur esserci. Ed è così che ti accorgi che di motivi ne esistono invece tantissimi e tutti riconducono ad un comune denominatore. A cominciare dalle persone che incontri durante la tua vita, perchè non può esistere crescita senza confronto. E in questo contano tutte, proprio tutte, da quelle che ti hanno voluto e ti vogliono bene tuttora, fondamentali per la tua sicurezza ma non per questo più importanti per la tua crescita di quelle a cui stavi decisamente, spiacevolmente e reciprocamente di traverso. E che dire di quelle di cui non hai quasi memoria perche' sono state di passaggio come meteore. Tutte nel bene o nel male hanno contribuito a farti diventare quello che sei adesso. Per cui grazie a tutti, ma permettetemi in questa breve biografia, senza che qualcuno se ne abbia a male, di ricordarne, per brevità, solamente due: mio padre Mario e Mark Knopfler.La prima, come è facilmente intuibile, rappresenta il modello da cui partire, quello a cui ti ispiri quando non ne hai altri a disposizione e che se sei fortunato, come lo sono stato io, rimane per sempre il tuo punto di riferimento. Il secondo per quanto assurdo possa sembrare, e per quanto lui ignori, giustamente, la mia esistenza è sempre stato lì ad aiutarmi con le sue canzoni, proprio nei momenti in cui non hai ne il coraggio ne la voglia di rivolgerti a tuo padre. Una sorta di secondo padre, inconsapevole, ma non per questo meno efficace, che ancora oggi accompagna come una colonna sonora ogni sfumatura della mia vita. A mio padre, quello "vero", devo soprattutto due concetti fondamentali: l'onestà, a tutto tondo, ma soprattutto quella intellettuale e la solidità integerrima dell'assumersi, sempre e comunque, tutte le responsabilità per divenire un punto di appoggio stabile a cui fare riferimento. Molti si chiederanno a cosa serva tutto questo in un sito che dovrebbe mettere in risalto le qualità professionali. Io sono convinto che ogni professionista, prima di tutto e quindi anche prima della sua bravura professionale, che comunque, intendiamoci, non può latitare, debba essere comunque anche umanamente integerrimo. A maggior ragione quando ci si occupa di un campo così delicato come la salute, spesso purtroppo accompagnata da quel brutto cliente che è la sofferenza.
Dalla mia esperienza posso dire che quest'ultima rappresenta l'incipit per affidarsi al professionista e tanto più è grande (la sofferenza) tanto più si è disposti a girovagare per studi medici alla ricerca di una soluzione. Per questo motivo il professionista che lavora nel campo della salute (e quindi della sofferenza) ha il dovere morale di non approfittare di questo innegabile vantaggio oltre al dovere professionale di riconoscere i propri limiti.
Avere, quindi, un supporto di umanità, umiltà e buon senso permette sicuramente al professionista di non ergersi a "salvatore della patria" promettendo di tutto e di più, ivi compreso anche, ciò che già si sa, che non si può ottenere. La responsabilità etica e morale, per quanto mi riguarda, non può che andare di pari passo con quella professionale.